CASERTA (di Nando Astarita) – È stato come se ad un gruppo di ragazzi, pigramente impegnati a vantarsi ognuno d’esser campione di calcio, un “valutatore” avesse dato un pallone dicendo: “Ecco, e ora fatemi vedere cosa siete capaci di combinare”.
Infatti, pare proprio quel che è accaduto allorché, spiazzando tutti, il vescovo di Caserta Lagnese, durante l’omelia di Capodanno, a proposito dell’ex Macrico, ha detto: “ E’ venuta l’ora che quel bene sia messo a disposizione della città ed al servizio del bene comune…La conversione di quell’area potrebbe rappresentare, per un territorio più volte mortificato, una formidabile occasione per uno sviluppo sostenibile, capace di coniugare cura del creato e opportunità del lavoro per tanti giovani…”
Ecco, il pallone è stato messo al centro. Così, la questione Macrico, da decenni l’unico o quasi argomento d’interesse collettivo per i casertani, anche se spesso solo innocua occasione per cimentarsi, prima al bar e poi sui social, con le più svariate ipotesi di utilizzo, di colpo è diventato argomento serio, scottante nella sua concreta necessità d’immediate e realistiche risposte.
Ovviamente le esternazioni al riguardo già fioccano da tutte le parti, da quelle più o meno pertinenti e qualificate a quelle solite dei tuttologi. In ogni caso, è ovvio che la dichiarazione del vescovo abbia risvegliato un po’ tutti, dai palazzinari che già sognano l’ennesimo “parco qualcosa” agli ecologisti integralisti che sognano la foresta vergine in città passando per certuni che forse, per aver cucinato un piatto di spaghetti al pomodoro, credono di poter gestire un ristorante stellato.
Ma, per capire come potrebbe finire, basterebbe partire proprio da quella dichiarazione del vescovo che proprio nella indicazione della destinazione d’uso e cioè “ godere una terra da vivere come parco urbano dove fare esperienza vera di comunità”, trova la sua maggior chiarezza perché per il resto appaiono tutte da definire le modalità della cessione di quella che, fin dal 1984, è stata riconosciuta dalla Cassazione proprietà dell’IDSC.
Ma, d’altra parte, il vescovo stesso lo definisce più volte questo suo progetto “un sogno” e si sa quanto questi possano essere vaghi, incerti e sopratutto rischiare di rimanere tali.
Dunque, a maggior ragione, dopo quella dichiarazione il Comune non può restare a cincischiare, nascondersi dietro un dito, ma piuttosto – per non perdere il treno – deve dare risposte rapide e circostanziate. Quelle che, in verità, avrebbe dovuto essere in grado di dare con immediatezza stante la vecchiezza del tema.
Perciò il Comune, per cominciare, al di là dell’urgente adeguamento urbanistico dell’area, potrebbe d’intesa con la Curia nominare una ristretta commissione d’esperti per la formulazione di una o più ipotesi di progetto che, nel rispetto del presupposto indicato dal vescovo, contemperino le varie esigenze o istanze espresse finora dai cittadini, dai relativi comitati ed da varie associazioni.
Ma subito dopo sarebbe davvero importante è definire la modalità di gestione di quanto si andrà a realizzare. Infatti, al riguardo, nessuno può semplicisticamente riferirsi al volontariato, magari al fine di precostituire utili serbatoi elettorali, perché qui non si tratta del campetto per giochini infantili o bi degli orti per anziani.
Qui si tratta di circa 33 ettari di territorio al centro della città. Un’area enorme dove si possono creare varie attività compatibili con gli scopi sociali e con l’ambiente ma al contempo reddituali e quindi fonti occupazionali specie per giovani. Chi potrà utilizzare quegli spazi dovrà perciò possedere esperienze, competenze e sopratutto capacità finanziarie perché, mai come in questo caso, “ senza soldi non si cantano messe” .
Quindi, mettendo da parte populismo ed utilitaristica demagogia, lasciamo la parola agli esperti che per un progetto funzionale sotto ogni aspetto non è che poi dovranno inventarsi chissà che bastante loro guardarsi attorno per ottimi esempi cui ispirarsi.
In ogni caso, visto l’impatto che avrà la soluzione sul futuro della città, sarebbe opportuno che i cittadini non fossero esclusi dal processo decisionale allorché sarà disponibile un progetto ritenuto ottimale dagli esperti e dai committenti.
E se proprio i cittadini volessero cominciare a riscaldare i “muscoli decisionali” potrebbero già scegliere un nome nuovo per quell’area così da cancellare finalmente quel l’arrugginito acronimo “Ma.C.Ri.Co (Magazzino centrale ricambi mezzi corazzati) che oltre ad essere ormai inutile pare evocare tutto ciò che è il contrario di ambiente e serenità sociale. Dunque, aspettando gli esperti, apriamo la caccia al nome nuovo!