Violenze in carcere, parla l'ex comandante: "I pestaggi furono compiuti da agenti esterni"
Nuova importante dichiarazione in aula: spunta l'ipotesi della doppia catena di comando
SANTA MARIA CAPUA VETERE - Due diverse catene di comando agirono il 6 aprile 2020 al carcere di Santa Maria Capua Vetere durante la perquisizione degenerata in pestaggi e violenze ai danni dei detenuti del reparto Nilo.
Le due catene
Una faceva capo all'allora comandante della polizia penitenziaria del carcere casertano Gaetano Manganelli, cui rispondevano gli agenti interni, e che sarebbe stata sostanzialmente esautorata dall'altra composta da agenti del Gruppo di Intervento Operativo Provenienti perlopiù dalle carceri di Secondigliano e Avellino, in azione con caschi, mascherine anticovid e manganelli.
Le dichiarazione dell'ex comandante
"Gli agenti esterni non rispondevano a nessuno di Santa Maria, ma solo al Comandante Colucci e alle altre responsabili del GIO, le ufficiali Perillo e Di Donato, e facevano capo direttamente a Fullone (allora capo del Dap in Campania, ndr), che aveva disposto la perquisizione" racconta l'ex comandante Manganelli, esaminato in qualità di imputato nel maxi-processo in corso da tre anni - 105 gli imputati - nell'aula bunker del carcere. Manganelli, che non prese materialmente parte alla perquisizione, accredita la tesi già avanzata da altri agenti in servizio nell'istituto nel periodo dei fatti ed esaminati in aula nei mesi scorsi, ossia che furono proprio gli agenti esterni i responsabili delle violenze verso i detenuti, e che tanto i vertici della penitenziaria quanto quelli amministrativi del carcere di Santa Maria Capua Vetere, come i vicedirettori Parenti e Rubino (entrambi imputati) - la direttrice Elisabetta Palmieri era assente per malattia - furono in pratica esautorati da ogni ruolo operativo da Fullone durante la perquisizione.

