antica cittadella
antica cittadella
Foto di repertorio
Foto di repertorio

CASERTA (Lucia Sforza) - La quinta sezione della Corte di Cassazione, presieduta dal Giudice Grazia Anna Rosa Miccoli, si è pronunciata sui ricorsi presentati da Paolo Morrone, noto patron della sanità casertana e titolare del centro Morrone, e dalla sua socia e ‘donna di fiducia’ Carolina di Cicco

La Suprema Corte ha confermato la pronuncia di condanna emessa in precedenza dalla Corte d’Appello di Roma, con validità anche agli effetti civili.

 

Finta donazione milionaria: condannati il patron della sanità Morrone e la socia

I due imputati, soci della società ‘La Perla SRL' con sede legale a Caserta, erano stati coinvolti in una vicenda di frode complessa volta a estromettere il fratello del patron dalla compagine societaria attraverso un atto notarile manipolato. Paolo Morrone e Carolina Di Cicco erano già stati al centro di una maxi-inchiesta della Guardia di Finanza per evasione fiscale milionaria legata alla realizzazione del centro sanitario casertano.

 

La Cassazione conferma la pena per l'imprenditore e Carolina Di Cicco. Usata falsa identità per estromettere il fratello dalla società

Secondo la ricostruzione degli inquirenti e dei giudici di merito, i due, in concorso con una terza persona rimasta sconosciuta, avrebbero architettato una frode di ingente valore.

L'imputazione si basa sull'episodio in cui un soggetto, esibendo un documento d'identità contraffatto, si presentò davanti al notaio Antonio Oliva spacciandosi per Renato Morrone (fratello di Paolo). L'obiettivo era indurre in errore il notaio rogante l’atto di donazione di quote societarie.

 

L'architettura della falsa donazione e il ruolo del terzo uomo

L'atto prevedeva che Paolo Morrone cedesse in favore di Carolina Di Cicco la sua intera partecipazione al capitale sociale de 'La Perla Srl', un pacchetto di quote societarie del valore di 6 milioni di euro. Cruciale è il fatto che nell’atto pubblico si attestava falsamente la presenza di Renato Morrone e il suo ‘gradimento’ al subentro di Di Cicco nelle quote del fratello.

 

Respinta la tesi del "falso innocuo"

Avverso la pronuncia di secondo grado, la difesa di Morrone e Di Cicco aveva proposto ricorso in Cassazione lamentando vizi di motivazione e di legge.

La tesi principale sostenuta dai legali era che "non era necessaria la presenza di Renato Morrone dinanzi al notaio" ai fini del perfezionamento dell’atto di donazione che interessava unicamente donante e donataria. L’eventuale falso, secondo la difesa, sarebbe stato quindi "innocuo e inutile" poiché cadrebbe su una circostanza estranea all’atto pubblico.

La Cassazione ha rigettato i ricorsi, definendoli infondati. I giudici hanno chiarito la rilevanza della falsità. 

In conclusione, la Suprema Corte ha stabilito che i ricorrenti, in qualità di autori mediati, hanno indotto in errore il notaio rogando una falsità ideologica e che tale falsità non può in alcun modo essere ricondotta alla nozione di falso innocuo, confermando così la condanna.