CASERTA – Un squarcio sulle difficoltà e sulle speranze dell’educazione dei giovani nel mondo contemporaneo. Si potrebbe riassumere in questo modo ciò che è emerso dalla tavola rotonda che si è svolta martedì pomeriggio all’Istituto Salesiano “Sacro Cuore di Maria” a Caserta.

Il sogno che fa sognare – Un cuore che trasforma i lupi in agnelli ancora oggi sul nostro territorio”, questo il titolo della “chiacchierata”, si è svolto all’interno del Teatro Don Bosco e rientra nell’ambito della rassegna “Mayfest” giunta alla 26esima edizione. Il tema del confronto si è concentrato prevalentemente non solo sulla voglia di un futuro migliore che ogni giovane sogna, ma anche e soprattutto sulle difficoltà per alcuni di immaginarlo. Il tutto legato ovviamente al sogno di Don Bosco

Gli interventi

A confrontarsi sul tema, coordinati dal moderatore Gianrolando Scaringi, giornalista de “Il Mattino”, sono stati prof.ssa Eugenia Carfora, dirigente scolastica dell’Istituto Superiore “F. Morano” di Caivano, il dott. Giuseppe Zullo, giudice della Sezione Penale presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, don Giuseppe Russo, salesiano di Bari e delegato per la Pastorale Giovanile Ime, e don Maurizio Patriciello, parroco di San Paolo Apostolo a Caivano.

La parola al direttore don Antonio d'Angelo

Prima di affrontare la tematica, sul palco ha preso la parola il direttore dell’Istituto Salesiano di Caserta don Antonio d’Angelo. “Stranamente – ha dichiarato il direttore – il futuro, che dovrebbe essere il tempo dei giovani, molto spesso viene sentito più come una minaccia che come una promessa. Per questo vedono più vicino e concreto il presente. Non è colpa sicuramente dei giovani, che sono calati in un contesto sempre più nichilista. Fatto sta che non sanno guardare al futuro. Per questo è essenziale l’opera che ci arriva dalla pedagogia di Don Bosco. Ogni educatore deve saper trovare il punto accessibile per arrivare al bene che ogni giovane serba dentro al cuore e salvarlo”. 

La parola ai relatori

La prima ad intervenire in questa tavola rotonda è stata la preside Eugenia Carfora che ha portato la sua testimonianza di dirigente scolastica in un territorio difficile. “Non bisogna mai smettere di sognare – ha dichiarato la Carfora – chi non sogna non può aiutare gli altri”. La Carfora ha poi ripercorso la sua vicenda umana e professionale che l’ha portata ad essere la dirigente dell’Istituto di Caivano fino al premio come miglior preside d’Italia nel 2020. “Da anni mi occupo di questi ragazzi che già difficilmente arrivano a scuola. Il problema vero è trattenerli. Tenerli lontani dall’attrattiva che hanno determinate scelte è la vera sfida per noi. Per fare questo dobbiamo essere accanto ai ragazzi, dargli fiducia e responsabilità senza ritardi, sempre un attimo prima. E’ questa la vera sfida”.

carfora zullo russo
Eugenia Carfora, Giuseppe Zullo e don Giuseppe Russo

Ha preso poi la parola il giudice Zullo, ex allievo salesiano. “Secondo la mia esperienza – ha affermato Zullo – ci sono tre fattori che incidono negativamente sui giovani: sociale, economico e culturale. Questi ragazzi che purtroppo cadono in reati, alcuni anche gravi, provengono da un substrato sociale deviato e povero, dove i soldi fanno gola e sono visti come l’unica strada percorribile per uscire da una situazione di grave disagio. E’ da questo che si diffondono episodi di microcriminalità che hanno per protagonisti questi giovani. La criminalità trova terreno laddove la cultura è assente. Bisogna prevenire questo genere di fenomeni, cercando di evitare che si arrivi all’intervento penale. In quest’ottica sono essenziali e devono essere supportati il lavoro della scuola e dello Stato che deve intervenire attraverso una programmazione efficace che abbia come interesse il recupero delle diseguaglianze”. 

Il microfono è poi passato a don Giuseppe Russo, prete salesiano proveniente da uno dei quartieri più difficili di Bari, il quartiere Libertà. Don Giuseppe ha portato la sua esperienza di educatore al fianco di ragazzi non facili, ma che hanno la voglia di uscire da un determinato contesto. “Non è un caso – ha affermato don Giuseppe – che le grandi emergenze educative siano nate in periodi storici di massificazione. Oggi siamo in un contesto simile. Non si vedono le persone, ma le categorie, non i ragazzi, ma le baby gang. L’unico modo autentico e reale per far sì che un giovane possa uscire da una devianza delinquenziale è l’educazione uno ad uno. Ogni ragazzo è un universo, ma per entrare nelle menti di questi nostri giovani, devi sporcarti le mani. Devi trovare il bene che hanno e portarlo in superfice. Trasformarlo da lupo ad agnello come diceva Don Bosco. La trasformazione di un giovane che deve proteggersi e difendersi dal mondo a giovane che per la prima volta si sente figlio e protetto da una persona che gli vuole bene”. 

 

A chiudere gli interventi della tavola rotonda è stato don Maurizio Patriciello. Il parroco di Caivano nel suo intervento ha toccato molti temi sottolineando anche in maniera critica le ragioni per cui il Parco Verde è diventato sinonimo di delinquenza e di abbandono. “Al presidente del Consiglio Meloni – ha dichiarato don Patriciello – ho detto: “Vieni a vedere come sopravvivono i dannati del Parco Verde”. Le parole di don Patriciello hanno toccato i presenti in sala perché hanno voluto sottolineare non solo la mancanza per anni dello Stato in quella zona, ma anche le responsabilità della cittadinanza che ha preferito voltarsi dall’altra parte, senza omettere i passaggi delicati, come la vicenda delle due ragazzine stuprate da minorenni: “Era un gruppo che per mancanza di un’educazione adeguata aveva scoperta il sesso a 9 anni nel modo più sbagliato possibile. Li abbiamo derubati di tutto anche dell’emozione di una carezza. I bambini sono le vittime di un modello che gli abbiamo tramandato noi”. Don Patriciello ha evidenziato ciò che adesso sta cambiando al Parco Verde, dove “non si spaccia più”, ma tanto c’è ancora da fare anche se non sempre si trova il sostegno dovuto per chi è in difficoltà. “Una famiglia a causa di un incendio – ha riportato don Patriciello – ha perso la casa. Subito mi sono mosso per dare un aiuto a questa mamma con i figli piccoli. Ho raccolto 10mila euro e gliel’ho dati. Ma dalle istituzioni non ho avuto nulla. Per i poveri i soldi non ci sono mai, ma per le case famiglia si trovano sempre”. 

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Don Maurizio Patriciello

La premiazione

Alla fine della tavola rotonda, a tratti dura come la realtà che vivono i ragazzi oggi, il direttore don Antonio d’Angelo ha consegnato dei “Premi per la Pace” al vescovo di Caserta mons. Lagnese, assente per impegni con la Cei e di cui è stato letto il messaggio, alla preside Eugenia Carfora e a don Maurizio Patriciello. 

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