antica cittadella
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SAN CIPRIANO D'AVERSA/SANTA MARIA CAPUA VETERE/MONDRAGONE (Lucia Sforza)- Si è concluso al tribunale di Lagonegro il maxi-processo nato dall'inchiesta del 2021 denominata "La febbre dell'oro nero", incentrata su un vasto traffico illecito di carburanti che ha interessato la Campania, la Basilicata e l'area di Taranto. Il procedimento ha visto 49 imputati a giudizio, con un esito che ha portato a 32 condanne e una confisca patrimoniale di oltre 14 milioni di euro. Le pene complessive inflitte ammontano a circa 90 anni di reclusione, colpendo aziende e beni direttamente riconducibili ai condannati.


Crolla l'aggravante mafiosa per i principali imputati


Nonostante l'enormità della frode, l'ipotesi di camorra, inizialmente contestata dalla Procura, è caduta per i principali accusati. Per figure di spicco come Raffaele Diana di San Cipriano d'Aversa, considerato vicino al clan dei Casalesi (fazione Zagaria), il reato di associazione mafiosa non è stato confermato. Pur non essendo stata riconosciuta l'aggravante, Diana e i suoi figli sono stati comunque giudicati responsabili di frodi sull'Iva sui prodotti petroliferi. Tra le assoluzioni di rilievo si segnala quella di Tommaso De Rosa, imprenditore del gruppo petrolifero Gaffoil di Santa Maria Capua Vetere.


Condanne pesanti e la lista degli imputati


Le pene comminate hanno un'ampia forbice, da un minimo di 1 anno fino a oltre 10 anni di carcere. Le condanne più pesanti hanno riguardato i sanciprianesi Raffaele Diana (10 anni), Giuseppe Diana (9 anni) e Vincenzo Diana (5 anni e 20mila euro di multa), oltre a Massimo Petrullo di Polla (9 anni e 30mila euro di multa). Seguono condanne più lievi: Luigi Papale (2 anni), Antonio De Martino (2 anni), Francesco e Giovanni Friozzi (2 anni ciascuno), Fulvio e Salvatore Leonardo (1 anno ciascuno), Antonio Gallo (1 anno e 3 mesi), Salvatore Di Puorto (2 anni) e Antimo Menale (2 anni). Il tribunale ha pronunciato complessivamente 16 assoluzioni.


Sequestrati beni e aziende per milioni di euro


L'impianto accusatorio ha retto per diversi reati, tra cui associazione per delinquere, riciclaggio, emissione e utilizzo di fatture false e commercio illegale di carburanti. Il dispositivo finale della sentenza include la confisca di immobili, depositi, impianti e intere flotte di veicoli, tutti ritenuti strumenti per le attività illecite. In alcuni casi, i giudici hanno anche dichiarato la prescrizione per reati minori. La sentenza, pur non riconoscendo il reato di mafia, ha messo in evidenza la gravità delle condotte fraudolente e il loro impatto sul tessuto economico.