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Lucia Sforza

 

Restano sotto chiave i beni del pentito del clan Mezzacane

La sesta sezione della Corte di Cassazione, presieduta dal giudice Orlando Villoni, ha confermato il sequestro dei beni di Claudio Buttone, ex esponente del clan Mezzacane e oggi collaboratore di giustizia. Respinto il ricorso presentato da Buttone e dalla moglie Miriam Restivo contro l’ordinanza del tribunale di La Spezia, che aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni.


La decisione del tribunale di La Spezia

Il Tribunale del Riesame aveva già rigettato i precedenti ricorsi dei due coniugi, confermando la validità del sequestro. Secondo i giudici, Claudio Buttone – già condannato per associazione mafiosa – avrebbe omesso di comunicare le variazioni patrimoniali, violando così gli obblighi legati alla sua posizione giuridica. Il provvedimento ha colpito anche la quota del 50% dei beni intestata alla moglie, ritenuta una intestazione fittizia.


Le motivazioni del ricorso alla Suprema Corte

I difensori di Buttone hanno contestato il provvedimento evidenziando, a loro dire, un vizio di legge. In particolare, sostengono che la sussistenza del reato contestato dovrebbe essere subordinata a una pericolosità sociale concreta e a un effettivo collegamento con le associazioni mafiose, in grado di generare profitti. “Buttone ha reciso ogni legame con la criminalità – afferma la difesa – è un collaboratore di giustizia, e questo contrasta con l'obbligo di comunicazione patrimoniale.”


La posizione della moglie Miriam Restivo

Anche per la moglie del pentito, Miriam Restivo, è stato presentato un ricorso. I legali hanno contestato la decisione del tribunale, che l’ha considerata unicamente come terza intestataria dei beni, senza valutarne in pieno la posizione soggettiva. Questo ha portato all’inammissibilità, secondo i giudici, delle sue doglianze relative alla legittimità del sequestro.


Cassazione: sequestro confermato per Buttone

La Suprema Corte ha rigettato definitivamente il ricorso presentato da Claudio Buttone, ritenendolo infondato. Secondo i giudici, l’eventuale cessazione dei rapporti con l’ambiente criminale non esclude automaticamente la configurabilità del reato. “Ciò che conta – si legge nel provvedimento – è la sola omissione della comunicazione patrimoniale, non la condizione attuale del soggetto.”


Annullamento con rinvio per la moglie del pentito

Diversa la decisione per Miriam Restivo. La Cassazione ha disposto l’annullamento con rinvio, ritenendo necessario un riesame della sua posizione processuale. Al momento dell’emissione del decreto di sequestro, infatti, l’unico indagato formale era Buttone. Di conseguenza, il tribunale dovrà riconsiderare il ruolo effettivo della moglie nella vicenda patrimoniale.


La giustizia non dimentica il passato criminale

Il caso di Claudio Buttone conferma la rigidità della normativa antimafia in materia patrimoniale. Anche chi ha scelto di collaborare con lo Stato non è esente dagli obblighi dichiarativi, soprattutto quando i reati d’origine si basano su accumuli illeciti. La Cassazione ha tracciato un confine netto: pentimento e collaborazione non cancellano automaticamente la responsabilità giuridica sul piano patrimoniale.