Vendetta di camorra: imprenditore ucciso per colpire il nipote penitito Luigi Diana
Nel 2005 Cesare Di Bona fu freddato con undici colpi: un messaggio mafioso al collaboratore di giustizia

Il bersaglio: un innocente per colpire un “traditore” (Lucia Sforza)
Era il giorno del suo compleanno, 25 aprile 2005, quando Cesare Di Bona, imprenditore incensurato di 78 anni, veniva freddato davanti casa sua a Casal di Principe. Undici colpi di pistola, sparati con precisione e ferocia, lo hanno ucciso sul colpo davanti al suo negozio “Edilcem” in corso Umberto I.
Ma Cesare Di Bona non era un obiettivo diretto della camorra. Era uno zio acquisito del collaboratore di giustizia Luigi Diana, ex uomo d’onore del clan dei Casalesi. Ed è proprio per vendetta contro Diana che quell’omicidio fu commesso.
La rivelazione di Bidognetti jr: “Fu un messaggio”
A confermare la matrice camorristica del delitto è Raffaele Bidognetti, figlio del boss Francesco “Cicciotto ‘e mezzanotte”, oggi a sua volta collaboratore di giustizia. Durante il processo, Bidognetti ha dichiarato apertamente:
“L’idea di colpire i familiari dei pentiti era solo mia. Di Bona doveva morire per mandare un messaggio.”
Un omicidio punitivo, una lezione mafiosa per scoraggiare chi sceglie di collaborare con la giustizia. E anche per ricordare agli altri affiliati che chi tradisce paga… e con lui anche chi gli sta vicino.
Il piano: pedinamento, segnale e esecuzione
Il delitto fu pianificato nei minimi dettagli da Bidognetti insieme a Francesco Di Maio e Alessandro Cirillo, killer di fiducia del gruppo. La dinamica è emersa con chiarezza:
pedinamento sistematico della vittima,
individuazione precisa del bersaglio,
due auto – una Fiat Panda e una Punto – per coprire l’agguato,
e un semplice gesto del dito per confermare l’identità prima di aprire il fuoco.
Di Bona non ebbe scampo. Fu colpito senza pietà. I suoi figli lo trovarono ormai privo di vita, disteso sull’asfalto, in una scena straziante.
L'inchiesta e il processo in corso
Le indagini condotte dalla DDA di Napoli, coordinate dal PM Simona Belluccio, hanno confermato il racconto dei pentiti. A sparare fu una sola pistola, usata con freddezza chirurgica. L’intento non era solo l’eliminazione della vittima, ma lanciare un segnale inequivocabile al territorio.
Nel processo in corso davanti alla Corte d’Assise, sono imputati Alessandro Cirillo, detto “’o sergente”, e Francesco Di Maio, entrambi accusati di omicidio aggravato da finalità mafiose. I legali della difesa, Carmine D’Aniello e Antonio Morgillo, prenderanno la parola nella prossima udienza prevista per novembre, quando si entrerà nel vivo del dibattimento.
Il simbolo di una strategia mafiosa spietata
La morte di Cesare Di Bona è diventata il simbolo di una delle forme più violente e trasversali di vendetta della camorra: colpire chi non c’entra nulla, ma è legato da affetto o parentela a un collaboratore di giustizia. Una strategia da manuale criminale, pensata per intimidire e isolare i pentiti, mostrando che nessuno è davvero al sicuro.
Un omicidio esemplare, nel senso più crudele del termine. E che ancora oggi grida vendetta e memoria.