TUTTE LE PENE. Imprenditori dell’agro Aversano e il racket del clan dei Casalesi: 4 CONDANNE
Condanne fino a 14 anni per quattro uomini accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso: in aula i racconti dei pentiti e le pressioni sul commercio locale.

Lucia Sforza
Il contesto giudiziario: maxi inchiesta della DDA
Il Tribunale di Napoli Nord (Aversa) ha emesso la sentenza di primo grado in un processo scaturito da una lunga indagine della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, culminata con la condanna di quattro soggetti ritenuti legati al racket del clan dei Casalesi.
Le condanne: pene fino a 14 anni
Queste le condanne inflitte:
Antonio Barbato (49 anni, Cesa): 14 anni di reclusione per 2 episodi estorsivi;
Carmine Lucca (55 anni, San Marcellino): 11 anni;
Antonio Chiacchio (45 anni, Teverola): 8 anni;
Antonio Palumbo (36 anni, Cancello Arnone): 7 anni.
Il processo è nato per motivi di competenza territoriale dopo gli arresti del 2022 legati al potere delle cosche Belforte e Bidognetti.
Il ruolo dei pentiti: Barbato uomo del clan
I collaboratori di giustizia Enzo D’Aniello e Angelo Compagnone hanno descritto Barbato come intraneo al clan, uomo temuto e coinvolto in molteplici episodi intimidatori nell’agro aversano.
I fatti: estorsioni, minacce e “regali” per i detenuti
Tra il 2018 e il 2019, Barbato e Lucca si sarebbero presentati più volte presso un minimarket di Teverola, prelevando merce senza pagarla. In un altro episodio, fu richiesta una tangente di 1.500 euro, minacciando ritorsioni.
Chiacchio, invece, nel maggio 2018, avrebbe rapinato un uomo, minacciando di incendiare l’auto se non avesse pagato una somma di 2.000 euro. La vittima ha ceduto due volte: prima 500 euro, poi altri 900.
Il processo: difese e collegio legale
Il collegio difensivo è stato composto, tra gli altri, dagli avvocati Giovanni e Michele Cantelli. Il procedimento ha evidenziato come i metodi mafiosi fossero funzionali a estorcere denaro e beni agli imprenditori locali sfruttando la paura e il controllo del territorio.