antica cittadella
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CASTEL VOLTURNO – Chamila Wijesuriya, 50 anni, barista presso l’hotel Berna di Milano, aveva espresso più volte la propria preoccupazione per la sicurezza personale, prima di essere uccisa a coltellate il 9 maggio da Emanuele De Maria, un uomo già condannato per un precedente femminicidio avvenuto a Castel Volturno.

Ammesso al regime esterno

De Maria, 35 anni, stava scontando la pena presso il carcere di Bollate ed era stato ammesso al regime di lavoro esterno proprio all’interno dell’albergo milanese. Il giorno dopo il delitto, ha anche aggredito un collega, Hani Fouad Nasra, che nei giorni precedenti aveva messo in guardia Chamila sul comportamento minaccioso del detenuto.

La vittima aveva paura

Le testimonianze dei colleghi confermano che Chamila temeva per la propria incolumità. Tali dichiarazioni sono ora al centro delle indagini condotte dalla Procura di Milano, che sta cercando di stabilire se vi siano state negligenze o sottovalutazioni nel percorso che ha portato alla concessione della semilibertà a De Maria.

Secondo i documenti ufficiali, le valutazioni degli psicologi del carcere di Bollate descrivevano l’uomo come “collaborativo”, “pentito” e “pronto al reinserimento sociale”. Nessun segnale di instabilità mentale o pericolosità era stato segnalato.

Ora, però, quelle stesse valutazioni sono sotto esame. Il caso solleva interrogativi pesanti sul sistema di sorveglianza e sulla gestione dei permessi lavorativi per i detenuti pericolosi, soprattutto alla luce dei segnali che, se ascoltati, forse avrebbero potuto evitare la tragedia.